Va tutto bene

va tutto bene

C’è una immagine che i miei occhi continuano a vedere: è inverno, primavera, autunno. Lei torna stanca a letto, la mia mano è tesa. Sembra quasi il sorriso di un primo incontro che sbatte sul vuoto. Teso per un attimo. Una luce tenue crea un’ombra deforme che esplora il muro. Le sue palpebre si chiudono. Parte un sonno diesel dal borbottio costante. Le mie pupille sono aquiloni scappati dalla mano di un bambino che piange. Sono stanco di questa immagine, vorrei cambiarla. Ma non è una diapositiva e anche se lo fosse l’immagine comunque si ripete. È ferma ma vive. Dentro l’immagine si respira come per riprendere il fiato da una fatica ingiusta. Una macchia gigantesca di notte ci circonda. Stiamo vivendo, l’indispensabile. Spaiati nell’oscurità. Con il nord a puttane. C’è stato il tempo e c’è ancora, ma ora non lo cerchiamo. La macchia di gravità, scura di notte, risucchia le ultime preoccupazioni e i rimasugli di forze. Per cosa, a chi, sarebbero servite le ultime energie? C’è una frase che continua ad occupare abusivamente la mia mente, quasi uno slogan per perdenti: “Rilassati, va tutto bene. Ma non si sa dove”.

 

– Hai pianto? 

– Quel che faccio con i miei occhi non ti riguarda.

– Stai di nuovo esagerando?

– Esagerare per me non è un’esagerazione, lo sai. Ci sono abituato. Direi che è una normalità.

– Smettila di bere.

– Smettila di darmi i motivi per farlo. 

– Come è andata oggi?

– Come sempre. E a te?

– Anche a me.

 

Ripeti. Se non ricordi ripeti. Se non lo sai ripeti. Se non capisci ripeti. Ripeti. Le parole, le immagini, i ricordi, i posti, i calendari, le volte, i come, le previsioni, il tocco. Non servirà a niente però tu ripeti. Quando ti chiederanno che cosa hai fatto nella vita risponderai di aver fatto il massimo. Di aver ripetuto. In un’immagine ferma e viva. Un po’ tua e un po’ no. La bocca secca di ripetizioni e i silenzi zuppi di evidenti negazioni. Ripeti a colpo sicuro, senti che va già meglio.

Ho due piedi senza primi passi e comunque c’erano troppi sassi ancor prima che mi accorgessi, tra me e i tuoi sapessi.

Ho due mani di picche, un respiro che è una colomba e un ciclone tropicale di categoria cinque. Il cuore un fortino abbandonato. Ho una testa di mille pensieri da ipotecare per tirare avanti qualche giorno. Ho dieci unghie che progettano rotte di rosso carminio sulla tua schiena latte. La coscienza è una casa di specchi senza ripari. Ho due occhi che sono punti di sutura aperti da cui esce vita. Ho un collo che sarà di nuovo ancoraggio. Ho due dita che sono una proposta. Ho un silenzio da tre megatoni. E un mondo in cui non entrerai mai, esiste solo per me.

C’è un’immagine che rovisto tra tutte quelle memorizzate nella fantasia. Ci sei tu, sconosciuta, quasi. Non spalanchi le braccia al nostro incontro, non domandi, non ti aspetti di meglio. Vivi un po’, così, perché non sei morta. Tutto qui. Storta e dritta, come viene. L’energia nascosta sotto il maglione supera quella del mio silenzio, gli stivaletti neri da dark ti fanno sembrare chi non sei. Anche tu morta decine di volte, come me. E viva, sempre, in un mondo in cui nessuno entrerà mai per mancanza di autorizzazione. L’immagine è ferma ma vive.

 

– Allora, andiamo?

– Andiamo.

 

Perché tu sei quel che deve ancora esplodere. In giro per la vita. In me. In altri. L’immagine vive. A che piano siamo? Non riesco ad immaginarlo. La notte scaglia lampi di umidità alle ossa, ci proteggiamo distraendoci con le nostre vecchie storie. Tu sorridi con gli occhi abbassati come le tapparelle. Ché è ora. I gatti randagi sfiorano i muri del palazzo, qualcuno dorme al freddo su una panchina. Siamo fortunati ad essere meno sfortunati.  Meno soli. Qui è pianura, si vede tutto, dai capelli ai piedi. Possiamo cadere senza farci male. Conservare i vestiti insieme ai sogni e al nostro pezzo di cuore preferito. A che piano della vita siamo? Non ci voglio pensare. L’immagine vorrebbe filare via, invece si ripete. Meno sconosciuta di prima.

Trova una forma per la mia anima, prendila in mano. Separala dal mio corpo, trattala come il mio corpo. Lasciami chiudere gli occhi, lasciami perdere tempo. Qui è pianura, si vede tutto fin da molto lontano, anche ad occhi chiusi, come nelle migliori cose che finiscono male. Sdraiati senza niente. Vivi nel senso di consapevoli del valore delle nostre piccole unità di tempo. Un’energia. Un silenzio. Vivi, noi, come viene naturale sbagliare e rivoluzionare, inventare e nascondere. Il mio naso cerca il profumo nel tuo maglione, la mano cerca una pulsazione. Ne trova diverse, sparse. Forse unendo i punti scoprirò di che costellazione sei fatta. Le tue palpebre si spalancano, le labbra si aprono. Ripeti qualcosa mentalmente. Ripeti, ripeti. Cosa non me lo dirai mai. Un respiro entra anziché uscire. Una serratura scatta e si apre uno dei tuoi cancelli mentali. La notte in un bel silenzio si prende l’appartamento. È quasi una prima volta, tu tremi su me. Fissando il vuoto ti tengo, come tu hai tenuto la mia anima e ti rassicuro:

“Rilassati, va tutto bene. Ma non si sa dove”.

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