Colla

Due cellulari parcheggiati in doppia fila, luci filtrate da lampadine invecchiate dalla polvere, una gran voglia di scappare senza avere le energie per aprire la porta verso un nuovo pedaggio. Prendere un’aspettativa per un viaggio mentale improvvisato. Oppure infilarsi nel frigo, ci starei anch’io lì dentro e senza cambiare temperatura. Scappare nel metaverso, che tanto nessuno sa cos’è. Chi verrebbe mai a cercarti dentro a un uragano americano mentre canti la tua canzone preferita, come in doccia, in un brutto posto che non esiste. Poi, studiare tutte le lingue in cui non vi capisco con le scarpe appoggiate sul bordo della scrivania. Uno dei due telefoni segnala una notifica. Un altro incidente di percorso. Resterà il crash, non test, si perderà il percorso. Il capo oscilla, ma guarda, le pupille giocano a flipper. È proprio lei. Una speranza immotivata. Velocemente passo al “cosa mi faresti se fossi qui”? Conoscendo già la risposta. “Ti sorriderei”, mi scrive. “Così mi sorrideresti, e ne vivremmo”.

Ma la storia ci porta a destra e i piedi a sinistra. Dormo quando sei sveglia, mi procuro spazi nel momento in cui moriresti per un abbraccio. Vorresti essere fermata, smettere di correre verso casa, mentre la strada è un silenzio di verità inespresse. Solo essere obbligata a fermarti. Perché a decidere proprio non riesci. E dove poi? Accosti solo in prossimità delle aree di sosta malinconia.

Immagino tutto, che ora è niente e poi sarà mai. E mi sento un pavimento a cui mancano delle piastrelle importanti, che non può essere calpestato, soprattutto in assenza di luce senza essere un inciampo continuo. Anche tu ti farai salto in lungo e in alto per evitare l’accidentata meraviglia della mia anima. Ne sorrido, con lacrime di non scelta che lo sono benissimo, scelte. Vanno come un dirigibile benedetto, senza comandi, indirigibile. Stiamo crescendo, adesso, stiamo separando le cose togliendo la colla da dove non serve e i nostri pensieri sono per chi davvero conta, sul nostro stesso nastro trasportatore, anche per chi resta sempre in secondo piano. Il vuoto evidenzia tutto, scolla l’apparenza dall’essere, differenzia il silenzio che parla da quello che confina.

Non seguirmi, io porto ad altre parole e ad altre cose intricate che timbrano e tornano indietro. Piantare un albero dove la terra si è bruciata e sedersi sopra le sue radici guardando fiduciosi il sole. Dire più “sì” e spiegarli. Non aver bisogno di togliersi i vestiti. Poi, fare spazio nell’ombra, metterci dentro tutte le emozioni per salvarle dal pessimo clima. Baciare ogni anno, anche se è più difficile. Stringersi da soli, nell’umidità fra le zanzare con le ginocchia stanche. Non aspettare la pubblicità per cambiare canale, smettere di pagare per pagare per vivere i film degli altri. Fare gli astronauti part time senza sentire la necessità di tornare. La parola gentile è un’onda di cariche elettriche che guidano verso nuove galassie che camminano su due piedi, vacillanti e immense. Lasciamoci risucchiare.

Non ti seguo, non seguirmi. Però incontriamoci, un giorno a destra e uno a sinistra. Diamoci la mano con la colla tolta da dove non serve, ora nelle mani. E poi dappertutto.

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