La sindrome del vuoto

Non me l’ha mai detto nessuno “scrivi, ti farà bene”, invece guardami qua, ad annotare qualche buon pensiero tra tante idiozie in altrettanti blocchi di carta. Non me l’ha mai detto nessuno “Adesso si farà dura”, è quel tipo di sorpresa che ti devi fare da solo, e forse sembrava stupido suggerirmi che anche io mi sarei trovato, oltre ogni aspettativa, con me stesso. Con in mano nient’altro. Una storia, una malattia, un’impressione, una capacità, il vapore di una doccia. Non me l’hanno detto per troppo riguardo. Come se a togliere il disturbo, o a spezzarsi, a sentirsi liberi o ad ammazzare qualcuno non lo si possa fare comunque, anche con tutte le protezioni, con tutte le bugie. Come se non fossimo noi quelli pronti a sacrificare ogni centimetro, a esporci di persona. A prendere e andare, e forse a tornare.

Guardando mia nonna pensavo che la vita fosse semplice come un gioco, non capivo le espressioni più gravi dei grandi, capivo un volto che si addolciva una ennesima volta. Non immaginavo che fosse tutto un prendere e andare, forse tornare. Un grembiule nascondeva la tensione nell’aria, la stanchezza degli umani. A pensarci, ricordare sembra questa la vera ferita, sapere di essere stati protetti, e non ciò che ne è la causa. Nessuno mi aveva detto che fosse troppo tardi, già allora, per essere freddo e cattivo e superiore a quelle due o tre incertezze di ogni uomo. Ah, si cresce. Definisci crescere. Definiscilo nella mia vita non nella tua, in quella di un camorrista, in quella di un regista hollywoodiano. Sì, e dopo che non hai definito adeguatamente ti voglio perplesso, arrabbiato e affranto. Senza certezze. Come me.

Non me l’ha mai detto nessuno che prima o poi si perde, sapendo di perdere, con un sorriso tirato per tutti e un breve saluto nervoso, nervoso solo il tanto che non si può nascondere. È quel tipo di sorpresa che non ti va di accettare. Magari perdi qualcuno, o la tua serenità, o una posizione a cui tieni, un posto auto al centro. Non so. Quel segno meno davanti alle cose può piacere solo ai matematici. Quelli sanno che torna poi sempre tutto come deve, nel razionale e nell’irrazionale. È tutto spiegabile, qualcuno si sta attrezzando per le spiegazioni. Vi preghiamo di aspettare. Il perso sarà recuperato. Non me l’ha detto nessuno ma giuro che ci sono arrivato, e ho tremato. E sono esploso e poi mi sono ricomposto, perché è questo che si deve fare: tornare interi prima che qualcuno cominci a preoccuparsi.

Un pensiero, come una lettera aperta, ma chiuso qui sotto.

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Adesso mi sgancio, questa volta mi sgancio, come una bomba dall’alto che deve spaventarsi e non esplodere. Per squarciare il vuoto, dovunque sia e che proprio quello lì non sia, con un silenzio selezionato tra i migliori, gusto complesso e amaro, precipitare con una playlist decente nel mezzo. Trema l’aria fresca, perfetta nel suo non essere tutta anidride carbonica. L’ultimo pezzo di unghia graffia la schiena, ma non trattiene. Nemmeno un sorriso molto più leggero, verso qualunque cosa a cui teniamo impossibile da afferrare. Spente, le giornate dall’alto. Non cadono solo le stelle, non solo i moscerini sui piatti insipidi e non solo le speranze sulle vite che non si possono scegliere e nemmeno avere. Anche gli specchi sono inutili al buio. Tocchi i tuoi contorni e ricordi come sei ma non ricordi come volevi essere. Svito anche le lampadine perché solo al buio cadono anche certe persone che non vogliono essere viste cadere.

Adesso mi sgancio, solo una frase per dire il contrario di quello che sento, un giro su me stesso per disinnescare un pensiero cattivo dedicato a tutti quelli che ancora non perdono le parole, una chiusa negli occhi per non disturbare tutti quelli che vivono di cose più importanti come l’allerta meteo. Torno alla capitale del dolore che non avrai studiato, a un inferno part time freddissimo che non brucia la carta delle mie lettere aperte, pensieri che non servono. Perdere il ritmo ma comunque cantare la canzone, era doveroso. Esporci, prendere e andare. Anche se non si sa fin dove.

Lasciare un pensiero, non sapere che altro fare. Non avere altro. Un pensiero come una lettera aperta, sprecato qui sotto. Manca solo la firma.

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