American Losses – Prima, o poi sarà troppo tardi

Uno

Ogni senso era completamente preso dal misterioso sciabordio di onde. Immerso nel silenzio si muoveva lungo la riva del mare, le mani in tasca e le spalle strette per ripararsi dalla brezza marina della sera, cupo, brezza, ripensava al viso di quella donna. Rigato dalle lacrime. Ancora impazzita brezza. Era stata una giornata come le altre quella di due anni prima. Per lei. Frenesia in città, appuntamenti saltati, alcuni presi, sul filo, sì sempre sul filo. Del possibile. Adesso osservava curioso la forza di quell’anima così sofferente che nonostante l’indescrivibile dolore provato non emetteva alcun gemito. Le si poteva scorgere nel fondo delle pupille, l’epicentro degli occhi dell’anima, la lacerazione al cuore provocata dal quel male così profondo, da quella perdita così improvvisa. Era bastato saltare un taxi. Esser partita un minuto dopo.

Oppure avrebbe dovuto fermarsi a fare carburante all’Orion di Santa Fe’ Street e non a quello di Greenspens sull’ottantaquattresima più trafficata. Per vincere la lotta con il tempo. Per non intersecare la sua strada con quella di Pete Gregor, neo assunto dello studio dentistico Trevels e Co. Dave aveva ancora indosso il vestito nero mentre rivolgeva uno sguardo stranito alle orme lasciate dalla sua scarpa sulla sabbia. Cos’è la vita? Ecco cos’è la vita: è un’orma lasciata leggera sulla sabbia che presto sarà cancellata dal passaggio di tanto mare, è qualcosa di effimero, di passeggero, qualcosa che se non è basato su principi validi, importanti, saldi come l’amicizia, la devozione, l’amore, non trova una vera definizione. Cosa sono le emozioni, quelle che ti permettono di gioire fino quasi a raggiungere la luna in un solo battito, le sensazioni che ti danno l’opportunità di essere travolto da un turbine violento di passione, i sentimenti quelli veri, sentiti, vissuti, assaporati, sognati, voluti fortemente? In miliardi di circostanze diverse, sono quello che cerchiamo, che sentiamo, che diventiamo, che siamo.

Fragili a vibrare, o già rotti nella scatola prima di arrivare a destinazione. Alla stessa ora, di due anni prima, il vento si piegava per dar vita alle fiamme, il fumo si perdeva tra gli spifferi impercettibili e le voragini della lamiera piegata. La vita passava e non si fermava. Le emozioni tornavano a essere piccole quanto il bottone di una camicia, saltato fuori dal vetro. In un urlo spento. E poi quel tanto, quel bello, quel cortile di eternità e quasi onnipotenza affacciato sulla vita era per prendere fuoco, era per prendere acqua dal cielo fino ad affogare, era per le crepe. Era andare indietro fino a perdere l’ossigeno dal bordo del sedile ai piedi del cielo.

Due

Dave facoltoso, di bell’aspetto, affascinante, dalle grandi prospettive di carriera governativa, conosceva donne bellissime e intelligenti e uomini illustri, economisti, stimati ricercatori, i potenti dell’America sconosciuti. Condivideva con loro macchine governative parcheggiate in fila e scortate, sigarette accese da accendini d’oro, borse scure di pelle. Era un uomo il cui cuore era indurito dalla ricchezza e dagli agi; un uomo capace di vivere nella bugia come fosse verità, con scrupoli dietro le spalle, con molte pretese, incapace di pazienza, di chiedere con cortesia, anche nei sentimenti.
Era stata una voce anonima gracchiante a iniziare quel viaggio a ritroso, vorticoso, tra le ragioni della vita.

<<Dave Smallows?>>.
<<Chi parla?>>.
<<Dave Smallows?>>.
<<Sì..mi dice..>>.
<<Capitano Senders, del distretto di Manhattan>>.
<<Catherine Brudge Senders è sua moglie, giusto?>>.
<<Sì, le lascio il suo numero? 7659..>>.
<<Signor Smallows, mi stia bene a sentire e non mi interrompa, sua moglie ha avuto un incidente con una vettura tra la quindicesima e la sesta, ora è in viaggio verso The Guardian Hospital, dove sarà ricoverata d’urgenza in rianimazione>>.
Silenzio. Il coraggio mancato.
<<Mi ha capito signor Smallows?>>.

L’ultima cosa che ricordava di Catherine erano le splendenti lune alle orecchie fatte comprare a Margie, la sua segretaria, indossati alla cena di due settimane fa al gran ristorante Gusto Italiano.
Si fermò un istante, voltò lo sguardo sul mare e lo perse laggiù oltre quella grande distesa mentre i pensieri viaggiavano ininterrotti come la pellicola di un film muto. Era una giornata particolarmente grigia e l’aria odorava di pioggia, di temporale. In lontananza si potevano scorgere le luci dei primi lampi, i rumori turbolenti dei primi tuoni. Erano passati solo due anni, due interminabili anni di fatiche da quella telefonata. Di aggrappi alla rassegnazione, alle speranze, all’odio cercato e rinnegato, scivolando dal pianto dietro la tenda della sala operatoria a un sorriso dovuto, emozionato, costretto, due giorni dopo il coma per lei. In bianche lenzuola. Più corta. Tragicamente più corta. Il giorno lentamente stava abbandonando la scena per lasciare il posto alla notte. Dave con passo deciso spinse la sedia a rotelle verso la sua autovettura.

La verità era che Pete Gregor, assistente del Dott. Hudgens dello studio dentistico Trevels e Co era il figlio della distrazione e la sua Jeep non aveva fatto sconti in una serata di stanchezza. La verità era che segretamente Pete Gregor era stato assoldato dalla controparte politica di Dave per eliminarlo segretamente dalla probabile futura scena presidenziale. La verità era che Pete Gregor lavorava in incognito come agente operativo Cia, in collaborazione con l’ufficio D dell’Interpol con supervisore capo Francois Modèl a Lione, e aveva il compito di convincere definitivamente il signor Dave Smallows a tenere la bocca chiusa su certi affari americani all’estero appoggiati dal presidente. Nell’interesse di tutti. La verità era che se lo sarebbe chiesto per molto tempo ancora. Ma di sicuro era stato per via del suo lavoro. Lo sapeva. Le passò l’indice sullo zigomo per portar via tutta la pioggia. Prese in braccio Catherine e l’adagiò sul sedile. Salì in macchina, accese il motore e diede un ultimo sguardo a quella tavola grigia e calma laggiù, inserì la marcia e iniziò il suo ritorno verso casa.

Tre

Dave contava le giornate del lontano passato in cui Catherine non piangeva, quelle in cui si abbandonava in cerca di affetto, in cerca di lui. Prima di molte collane, e borse e cene mancate. Se le ricordava tutte, la memoria non serviva. Si erano presi come si compra un regalo in ritardo la sera di Natale. Visti e piaciuti. Imbustati e non provati. La bellezza, la carriera, i modi, il vestir bene, erano bastati. Era tutto di classe. Non è facile trovare qualcuno che pensi sia alla tua altezza.
Non si erano mai amati per mezz’ora. Servivano a spingere avanti la vita avanti di due o tre metri, per vedersi giovani di successo in stanze vuote di una villa a tre piani. Per sfogare lo schifo della vita nella stessa stanza. Per avere qualcuno nell’altra metà della foto con sfondo Miami. Per riempire il vuoto. Quello con cui tutti nasciamo e ci accorgiamo di avere appena rompiamo il guscio con il becco. Per non sentire solo silenzio nella nostra casa. Perché il letto scricchioli a dovere. Per far parte di qualcosa davanti agli occhi di tutti.
Le ventitré. Dave si trovava al capezzale del letto dell’ospedale; tirò fuori dalla sua 24ore di pesante cuoio nero la lettera che aveva trovato per caso nel cassetto della scrivania mentre cercava documenti di sua moglie da portare al primario. Catherine sedata, dormiva.
Lentamente tirò fuori dalla busta quel foglio rosato. Aprendolo avvertì la leggera essenza del profumo che sua moglie vaporizzava sul corpo prima di dormire la notte. Tirò un profondo sospiro e iniziò la lettura:

Caro Dave,
mi trovo immersa nei miei pensieri mentre, facendo male al tappo di una penna, penso a te…a noi.. Non riesco a comprendere cosa ci è successo, cosa è successo al nostro amore che aveva la forza e la foga di una tempesta, che era dirompente e impetuoso come un mare in agitazione prima di un temporale, che era appassionante e coinvolgente come un caldo abbraccio, un tuo abbraccio..un tuo bacio.
Guardandoti negli occhi, non vedo più il Dave di qualche anno fa. Il Dave che sarebbe venuto con me fino in capo al mondo, quel Dave che mi ha giurato amore eterno sigillando l’emozione di quel momento con uno sguardo dentro al quale potevo scorgere cristallina la sincerità di un amore puro.
Ora nei tuoi occhi così profondi ho la sensazione di perdermi, di smarrire la strada, di raggiungere un bosco scuro e cupo dal quale non saprei più come uscire e tornare indietro.
Non ti nascondo, amore mio, che mentre scrivo tremo e piango interrogandomi sul perché tutto abbia perso la magia di un tempo.
Ti sento distante, freddo, indifferente al mio sentimento, al mio amore e forse questo e ciò che mi ferisce di più, ciò che mi incide sul cuore una ferita dalla quale sento gocciolare lacrime amare. Vorrei poterti donare il mio amore incondizionato, senza barrire, senza limiti, ma devo abbassare la testa e ingoiare il nodo alla gola in gola davanti al muro che ti sei costruito.
Sai, l’altra notte non riuscivo a prendere sonno e mi sono accorta che tu non eri affianco a me. Scendendo le scale, mi sono diretta verso il salotto. Vedendoti lì seduto, sono rimasta sulla soglia della porta osservandoti mentre pensieroso, sorseggiavi un bicchiere di vino rosso scrutando oltre la finestra, il buio della notte.
Avrei voluto raggiungerti e senza proferir parola abbracciarti e donarti un tutto il mio affetto ma non sarebbe servito, eri lontano.
Piccolo amore mio, non so come sarà il futuro, non so se questo è un periodo grigio dovuto al cambiamento del tuo lavoro e alle grosse responsabilità che ti sono state affidate e che quindi hai solo bisogno di tempo per riorganizzare il tuo di tempo.
Apprezzo molto i tuoi regali, i viaggi. Ma non è questo ciò che vuole una donna, ciò che voglio io.
Conosci il proverbio che dice: Due cuori una capanna? Mi basterebbe una semplice capanna ove poter poggiare le mie membra stanche e affaticate dopo una giornata di lavoro, se questo potrebbe significare ricevere il tuo amore e sentirlo forte e caldo come quando eravamo fidanzati, pronti a superare alte colline e irti monti pur di coronare il nostro sogno di una vita insieme. E due cuori: il tuo e il mio.
Non so se avrò mai il coraggio di darti questa lettera e svelarti così tutta la mia fragilità adesso nascosta alla tua vista. Vorrei poterti aprire il mio cuore così da permetterti di vedere che all’interno ci sei solo tu e solo tu possiedi le chiavi dello scrigno che lo racchiude.
Ti amo Dave,
Catherine.


Si sentì mancare. Quelle parole.. “le scale, mi sono diretta verso il salotto”, “ avrei voluto raggiungerti”. Non avrebbe più potuto farlo senza quella maledetta gamba. “Amore mio”, “due cuori”, “non vedo più il Dave di qualche anno fa”, “tremo e piango”. Era stato crudele. L’aveva trascurata. No, peggio. Non l’aveva amata. E lei sì. Lei ci credeva. Ci sperava. Questo fu il pensiero ricorrente di Dave per molti anni. In agonia.

Quattro

Mi raccontò tutto. Mi chiamo Abhisar Gursharan, e sono il fisioterapista che segue a domicilio la signora Catherine Brudge Senders. Dave è cambiato molto negli ultimi anni. Ha lasciato il lavoro, che lui stesso definiva “pericoloso”per via di certi segreti che celava, per dedicarsi a Catherine. Alla sua salute fisica e mentale. Alla sua emotività. Ho visto di tutto facendo il mio lavoro, conoscendo così tanta gente. Ma non ho mai visto questo. Ogni cosa che Dave poté fare la fece. Calmò i pianti di lei. Pianse con lei. Le cambiò le medicazioni. Le diede tutto se stesso annullandosi. Riducendosi a uscire raramente di casa. Vendette la sua automobile di lusso. Le trovò l’hobby del bonsai. Le stette così vicino che soffrì anche lui dello stesso male. E iniziarono ad amarsi e a rispettarsi profondamente. Sembrava impossibile. Era vero.

Un giorno, dopo mesi di chiacchiere e sorsi di whisky mi raccontò tutto. Quel tutto che gli faceva male. Mi disse che ora amava. Non era pentito di amare. Disse che amava troppo. E che il dolore stava diventando sempre più forte. Al che gli chiesi quale dolore. Il dolore di non averlo fatto prima. Gli dissi che non avrebbe salvato Catherine comunque, e che spesso ci accorgiamo degli errori solo dopo avvenimenti che hanno la virtù di cambiare qualcosa in noi. Annuì. Mi faceva molta tristezza vedere quell’uomo piegato. Ma ci sono abituato. Nel mio lavoro incontro solo persone che soffrono. Soffriamo tutti. Il cinismo non ci salva e non ci spiega il perché. Bisogna solo andare avanti.

Catherine migliora di giorno in giorno. Sarà un processo lungo, ma ormai ci vediamo una volta al mese. Lei può continuare a vivere. Quanto a Dave, ha lasciato un biglietto d’addio falso sul tavolo e una busta con un mucchio di dollari dentro che ho avuto premura di ritirare dal suo conto. Sarebbe andato a vivere in un paese caldo del sud. Questo diceva la sua calligrafia, niente più che una riga. Ora che l’amore li aveva fatti incontrare per davvero. Tutto questo è a rapporto. Non sono solo un fisioterapista indiano. La Cia chiude sempre le sue faccende in sospeso. Abbiamo avuto pazienza, per via di lei. Sei mesi fa è stata abbastanza forte da reggere il colpo di questa improvvisa scomparsa, direi. Così Dave è passato al paese caldo, se sia verso sud non lo sa nessuno, è all’inferno. E l’ho spedito io, per raccomandata con un proiettile in testa. Il fascicolo è chiuso. Meglio essere cassieri in un supermercato. Non sapere di presidenti e di paesi.

Mi dispiace Dave, sei uno dei tanti martiri per il bene del paese. Qui non vince il bene, l’amore. Non vince una donna con una gamba sola. Non vince un uomo pentito. Non vincono i pianti e nessuno li ascolta. La ricchezza si paga e la libertà e il potere si comprano: siamo in America.

Fabio Pinna e Simona Avallone

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