È per ridere avanti e indietro

È per la mia sensibilità migratoria il tuo fuggi fuggi battibalenissimo che solleva volant arricciati di scuse. Una favola gotica che si srotola nel centro di Chiari e nel bel mezzo del cammin di goffa vita di due come noi. Precisamente noi. Qualcuno aspetta il suono di un telefono che ha una rubrica solitariamente disperata, qualcuno invece aspetta che si compia l’ora della passeggiata necessaria al quadrupede per segnare il territorio sulle siepi di Villa Mazzotti. Salviette struccanti, pioggia struccante, un imprevisto di dieci anni fa adesso è diventato tutto il più bello e non sta più in braccio. Solo in braccio ai sogni. La sigaretta è una ritorsione contro l’ansia, come un rito sparge le sue ceneri al vento. Qualcuno sfonda quel vento con lo sguardo per arrivare a sfidare tutti. La giostra in piazza gira anche da vuota, anche il tempo e pure quel desiderio un po’ più nascosto. Prima o poi dovremo salirci per un giro completo, solo allora potremo desiderare di fermarci.

È per una tregua dal combattimento dei vuoti che ci scagliamo addosso. Chiariamo una cosa: i vuoti son pieni, praticamente sempre, zeppi, anche se è comodo pensare che la stessa parola faccia da garante. I vuoti sono dappertutto, dentro, fuori, attorno, addosso. Riciclabili. E se son pieni allora, uno di fronte all’altro, ci stiamo scagliando cose vere, di questi giorni e di questi mesi, sufficientemente contundenti, ingenuamente, per egoistica necessità di trovare sollievo. Senza dichiarazioni, una guerra senza quartiere ma con una casa, quella sì e pure arredata con amore. Detonazione poi succo detox, occupazione di pelle in comune poi smobilitazioni, ricognizioni oculari, lotta chat a chat, l’orizzonte è una grande barricata. Trema tutto, ancora una volta, fino all’accensione della Tv. Nessuna rivendicazione. Inizia con un sorriso, questo trattato di pace firmato dal silenzio, il sorriso devia verso un qualsiasi contrario di ciò che abbiamo desiderato, voluto, scelto, buttato. Buongiorno amore. Vorresti morire senz’aria ma ti tira fuori il carlino per fare pipì. Lontano. Sempre lì.

È per trovare da accendere al primo colpo, farsi caldo in una accettabile vicinanza ma soli, è per sentirsi globali e uguali, inclassificabili e speciali. Dipendenti, connessi, indipendenti, pronti. Un bacio sulla bocca di nessuno. Questa volta passo. Emicrania forte. L’amore feroce non è una colpa, anche quando non c’è più. Ho una pillola anche per te. Dice. Ripeto. È anticoncezionale, anti libidine, anticolesterolo, antistress, anti apparenza, anti aderenza, anti vuoto, anti peggio, anti fretta, anti tutto. E per la felicità? Chiedi. Ripeto mentalmente. Rispondo: mezzo giro a destra. Se ha un momento Dio oppure tu un po’ di quella fortuna che non è in ritardo.

Sceglie e va. La vita tirata come una tenda, sempre allo stesso modo. Avanti e indietro. Da una parte e dall’altra, nascoste o svelate, sempre le stesse cose.

Qualcuno ha bisogno che il fiore che ti vive dentro si apra prima di richiudersi e tornare la gemma dura che resiste all’inverno.

È per il morso, il rimorso, i turbamenti, accosta un attimo stiamo andando troppo piano mi viene il mal di viaggio. Incrocia le gambe sull’erba lei, l’auto occupa uno spiazzo in terra battuta al bordo della statale: perde olio, forse non arriveremo a casa. Apro il libro e leggo di questa nostra favola gotica, caotica e spietata come la guerra fredda che abbiamo provato a scaldare. L’avevano già inventata, aveva semplicemente un altro titolo. E ora cosa si fa? Si buttano parole all’orizzonte. È una pesca, si spera che qualcosa di meglio torni indietro. Si sta scomodi e vicini, manca la musica, il teatro e la pittura e internet e la poesia scritta, la tv, la reflex, il bottone per il 4K. La mia mano puzza ancora del rifornimento di benzina, i tuoi capelli sono schiacciati dall’umido della sera che arriva. Con la treccia sembri una di quelle donne del vecchio west. Miccia accesa affogata nel lago, frazione anziché moltiplicazione, frammenti di ossa di cuore non raccolti, una facciata che cade. L’orizzonte siamo noi. Tra colore e bianco e scala di grigi. Io sono quello che c’è sotto il colore, quello che si scopre dopo che l’incidente ha levato i primi strati. Tu sei l’idea di un colore che ha un nato cieco.

C’è del resto. Scontrini nascosti che torneranno fuori. Una risata, di cuore, al contrario. Un passaggio a livello, è rimasto il livello manca il passaggio. Anche un sospiro che si apre, sguaiato, potrebbe diventare una piccola passerella smontabile. C’è del resto e tutto amalgamato. Una lista di colori che manca. Sbattevano i corpi distratti l’uno sull’altro come le ali dei piccioni che scacciamo dalle piazze. Una guerra tiepida, gli occhi il campo di battaglia. L’amore feroce è un prefabbricato.

Se volessi combattere contro i mulini a vento sarei in Olanda, invece ho scelto il tuo orgoglio e sono qui ad offrirti una vita come Dante ci ha presentato la morte: d’inferno purgatorio e paradiso ma non necessariamente in quest’ordine.

È perché non si può essere sempre belli per finta ma distratti davvero, davvero spesso, che siamo finiti qui. Dopo aver cercato. Appeso e lasciato sgualcito. Aspettato. Ottenuto risposte troppo simili alle stesse domande. Siamo qui per questo, per uscire fuori strada e trovarla, dopo essersi presi al contrario. Ridere di noi avanti e indietro. A velocità doppia. Qui è dove io spero ogni giorno che tu abbia voglia di me.

In un battibalenissimo questa storia finisce sull’erba. Scende la sera. Avanti e indietro. Non so per quante altre volte ti leggerò questa nostra vita, un po’ diversa e un po’ uguale.

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