Mi fanno male gli angoli che non ci son più, dice Alfredo

Il fruscio del copriletto dispiegato su di un letto a due piazze occupato da una persona sola non è romantico. Una sveglia si prepara a disturbare, le lenzuola grosse, gialle di tempo, sempre quelle. Il primo piede tocca terra, Alfredo lo conosce bene, è da una vita che se lo porta appresso. Ha capito che non è quello giusto per iniziare la giornata, forse uguale a tutte le altre giornate dopo Marina, ma pur sempre una nuova giornata. Ritira istintivamente il piede su, lo fa sparire sotto le lenzuola. Lo avvicina all’altro. Lo stringe all’altro. Li incastra nella perfezione del silenzio. Aspetta che la sveglia suoni e gli presenti una pur sempre nuova giornata. Senza qualcosa, senza qualcuno.

Alfredo stringe le gambe, trema, un povero vecchio, dentro un letto a cui non troveresti un aggettivo. Il freddo della mattina non c’entra. Alfredo ha solo un altro piede per iniziare la giornata ma sa che anche quello è sbagliato, che le giornate sono come scarpe e non sono fatte per tutti i piedi. Che le forme non le cambiamo noi, ma Dio se ci credi. Visto da su, dall’altezza di quelle pale impolverate attaccate al soffitto sembra un involtino con qualche piega in più, fermo, come infilzato da uno spiedino. Uno spiedino che si chiama solitudine. Siamo abituati a pensare che la solitudine sia la mancanza di qualcuno o la sua lontananza. I nipoti di Alfredo lo chiamano di tanto in tanto, un gelato al parco, poi c’è la cena dai figli e un teatro da sopportare più che da pagare, proprio come e sempre stato, e sei euro al fioraio del cimitero. Basterebbero queste cose a colmare la sofferenza se la sofferenza solo questo. Ma è di più. Dettagli macroscopici. È quando nessuno è in grado di capire il tuo dolore, e il perché fai l’involtino a letto e non vai a prendere il giornale ora che sei in pensione e hai tutto il tempo. È quando spacchi un vetro con un pugno solo per farti male e nessuno ha capito che non volevi essere difeso e nessuno ha capito da dove quel fendente è partito.

Strano maggio questo, non si salva neanche la primavera. Il fruscio del copriletto detta il ritmo del tempo. Quelle parole “Alfre’ domenica andiamo a portare la marmellata fresca a Gina?”, ma che ricordi stupidi bellissimi, quelli di una domenica che non c’è mai stata davvero come doveva andare. È inghiottita per sempre, il cuore fa quello che deve. Alfredo si stringe all’angolo, non fatto di mura, quell’angolo di labbra nascondevano davvero. Ora nel ricordo. Può essere quasi nessuno senza che qualcuno reclami. Si sente sopra quelle labbra. Protetto. Al passato.

In quanti centimetri di vita ci si può perdere, e quanta differenza non si può più fare. Senza credere, senza capire, senza nemmeno ammettere il dolore che è difficile da essere riconosciuto. Capito. Respiriamo tutti l’aria della stessa stanza, prendiamo una mano se c’è, afferriamo una spalla se disponibile, chiudiamo una chiamata. Oppure attacchiamo noi stessi, gli unici rimasti. In quanti centimetri maggio si porta via la primavera che pensavi ti spettasse.

Senza capire, senza risolvere, vorremmo tutti cambiare stanza. Invece siamo qua. Insieme ad Alfredo, angolo diverso. Il fruscio del copriletto, qualcosa di spaccato di nascosto solo per farci male, giornate da non iniziare. Salutate tutti Alfredo.

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