Nostalgioia

Percorro i lineamenti del tuo viso con il dito, come sempre. Come sempre sono diversi. A volte hanno più curve, alle volte invece sono più spigolosi. Trascorre un’ora tiepida così, i movimenti lenti tra pelle e aria. Tiepido e stupido ragionamento, manda la vita avanti. Guido questa strada di tempo e attenzioni, ormai familiare e poco trafficata, stando proprio a cavallo delle due corsie, e anche se procedo in una direzione forse sto andando esattamente nell’altra. Preferisco non intendere e mi rifiuto di volere. La bellezza possibile, che è in noi, non impedisce al deserto di espandersi dentro, in tutte le direzioni del cuore.

Ti lascio dormire e ti guardo. È stato bello. È stato normale. È stato ancora superfluo. Per il cuore che pompa deserto alla velocità del tempo.

Cerco un pezzo di futuro mio addosso a te. Cerco di immaginare un gesto che mi reclami, tu che ti sbracci alla banchina con lo scirocco che ti inzuppa il foulard di umidità. La mia impazienza di sorriderti addosso. Ancora. Perché i sorrisi usati insieme acquistano valore. Immagino ancora un unico gesto, nel segreto della nostra casa, che compila la ricetta, compra la medicina e la somministra. Leggero, naturale, copre la mia anima come un’ombra.

Ridere come se ci fosse il tempo e come se ne valga la pena. È gratis, è normale, non è sempre così naturale. Costa tanto. Lo sai. C’è quel sorriso di quella volta, hai aperto la finestra e mi hai seguito con lo sguardo. Non ti vedevo, ma sentivo il tuo sguardo addosso. E sapevo anche dove. È stato bello. È stato normale. È stato ancora superfluo. Un altro gettone che la giostra non restituirà.

Chiudo forte gli occhi, li stringo più che posso. Continui a dormire. Il mio respiro tradisce l’animo inquieto. Tutti pensano al giusto e allo sbagliato, io mi raggomitolo al centro. Prendo entrambe le eventualità. Bisogna essere forti per non mollare tutto e allo stesso tempo tenere tutto, giusto e sbagliato e quel che sta in mezzo. Penso a questo.

Tra dare e prendere, poi, ci sono loro. Le aspettative, abbaiano davanti e morsicano quando gli giri le spalle. Ognuno ha diritto alle sue. Ognuno ha diritto di sbagliare, di reclamare, di archiviare. Chissà quali sono le tue. Chissà quelle che ti ho negato, alcune sono nel mio dna. Odio le mie che non hai reso possibili. Bisogna essere forti per rinunciare, modificare, fregare le aspettative. Bisogna reggere a ogni loro aborto. Non si può impedire che nascano ma non le si deve festeggiare troppo.

Bisogna avere la fortuna di essere abbastanza. Sempre abbastanza. Abbastanza, nonostante il bello, il normale, il superfluo. Il dolce e il crudele. Non riesco a sfuggire da questa verità e nemmeno dai cactus nati in luoghi scomodi del cuore.

Non si smette di riconoscere il valore di una perla solo perché non si desidera più la perla. Cambia il modo in cui la si guarda e quel che si è disposti a fare per averla o per disfarsene. Aspettative che tieni, aspettative che butti. Riapro gli occhi e il mio sguardo ti cerca di nuovo. Ti sei girata. I capelli arruffati e l’ombra dei miei pensieri. C’è una stagione che sembra stia finendo, qui, ci lascerà qualcosa da parcheggiare sulle nostre nostalgie.

Una perla non scade mai. Assurdo pensarlo. È questo che ci vuole. Tra il dolore delle cose mancate sarà pure nostalgioia.

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