Dannatamente bello e veloce

Sentirsi invisibili e allora camminare in equilibrio su un binario corto, morto. Togliti da lì, ragazzo. Urla il capotreno quando si accorge. Ma a chi urla? Qui non c’è nessuno. Adesso e durante l’inverno il metallo è gelido, scivoloso. Nei mesi caldi si arroventa, proietta aria calda. Sembra quella sopra le highways dei film americani, l’aria che balla, in attesa di essere spaccata da qualcosa di dannatamente bello e veloce.

Freddo acciaio, come erano i tuoi piedi. Acciaio bollente, come ricordo le tue mani. Stagioni. Passano, come sei passata tu, e qualcuna, inesorabile. La vita non fa promesse e allora ce le facciamo noi, stagione dopo stagione. Ne ho qualcuna di promessa inesorabile qui, invisibile come me. La lascio cadere dove termina il binario. Pesano. Chissà perché ancora le tengo, anche se i miei occhi non cercano e se il mio adesso è in una galassia che nessuno ti ha insegnato. Chissà perché hanno ancora una radioattività minima e un bene da un abbraccio e mezzo che porterebbe a tutto.

Promesse binarie, funzionano solo se vanno in parallelo. Adesso son rimasto io, che sono binario nel senso di due per volta, per la fatica, e che faccio tutto da me con una promessa che viaggia singola: non andare semplicemente avanti e non pensare ovviamente in grande. Solo pensare, che è già qualcosa da queste parti. Se capita in equilibrio.

Resisto tra la gente, invisibile. Se ruoto di 360 gradi questo diventa un binario che inizia e, dopo un immediato svincolo, mi riporta da voi. Che avete futuri visibili, e promesse in triplice copia. Visibili dagli occhiali a specchio da una guglia del Duomo o dal risvoltino ai pantaloni su tutti i pantaloni del fine settimana. Visibili con quei videocitofoni immensi, e le finanziarie, e i racconti delle vostre avventure che “non sai chi ho conosciuto”, e i 23o “mi piace” meritati sulla vostra foto profilo. Visibili perché con un seguito reale o surreale, ubriaco, sciatto, noioso, matrimoniale annoiato. Un seguito doveroso per salvarsi dall’invisibilità.

Ah, ma io il percorso inverso non lo farò. Ragazzo, adesso ti faccio portare via. Dice a chi? Il capostazione stanco. Sono invisibile e sono già via. Com’era bello il tirarsi delle labbra davanti a un bel motivo. Io non lo cambierò, dicevo. E accettavo ogni temperatura, sopra o sotto le lenzuola, per sentirmi tutto intero. Sembra quasi una storia, una finestra sull’oceano sbarrata con assi di pino e chiodi. Scusate, un ricordo. Io resto qui. Butto tutto giù, saliva e lacrime e vaffanculo. È tardi, anche se non so per cosa. Il binario vibra, un treno in arrivo. I visibili torneranno a casa per dirsi poco e niente nel miglior modo possibile. L’uno contro l’altro, un binario morto, insieme finiscono inghiottiti da una notte come le altre. È doloroso, agitare il barattolo che ci ospita, sentirsi stanchi di non avere questo schifo sopportabile come tutti.

Non mi chiedono da accendere i visibili, non staccano le cuffie per un saluto, non hanno bisogno di me solo perché non lo sanno. Per questo resto invisibile e mi disinteresso che mi venga data la precedenza, per questo ascolto i discorsi delle persone come per sbaglio ma aggiungo nodi nello stomaco. Per questo desidero come una farfalla che vive un giorno intero. Per questo aspetto la promessa inesorabile di qualcuno che, domani, mi si lasci spaccare da visibile l’aria della California Pacific Coast Highway, o qualcosa del genere. Dannatamente bello e veloce.

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