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Dopo nessuna fine

La mia bellezza ai tuoi occhi e la mia bellezza al tuo cuore viaggiano separate, se sarò fortunato ne troverai una, se sarò miracolato si aggiungeranno l’una all’altra. Faranno clic. Trascina dentro. Poi stop. Occhi su, occhi giù. Una precedenza da non prendersi in un bell’incrocio a raso. Tu lasci la precedenza a me, io a te. Nessuno si muove. Questo ci fa fare la bellezza. Nessuno si muove e dentro più di qualcosa si muove.

La bellezza è un punto di vista, come i miracoli. E succede, se credi ai miracoli ogni giorno e ci credi finché puoi. Prima che diventino parole da cui doversi difendere, prima o poi.

Se le parole son scritte però cambia. Puoi anche difenderti a partire da ora ma forse non lo farai mai, dopo nessuna rilettura, dopo nessuna fine. In te sono più eterne dei miracoli, quelle bastarde. Ben arrivate.

Mi dai i respiri

Mi togli i brividi

Mi compri i vestiti

Mi togli i vestiti

Mi dai ogni giorno che puoi

Mi fai perdere qualcosa di me per strada

Mi dai una sorte

Mi togli solo uno dei modi che esistono per ammazzarmi

Pianti paletti lungo la strada

Ma ci spostiamo solo in aereo

Mi esisti pure troppo

Mi sparisci come l’ultima pallina del flipper nella partita del record

Mi ricordi sempre e non me lo vuoi dire

Mi chiedi spiegazioni che non possono esistere in chi vive ventiquattro ore alla volta

Mi agghiacci di silenzi perché pensi che la verità sia spesso più fredda

Mi aspetti e poi vai e poi invece sei sempre qui

Mi programmi gioie che salterò come appuntamenti poco importanti

Dai e togli

Come tutti

Come me

In una matematica illogica

Per pareggiare conti che non devono mai presentare un totale.

 

Se stiamo contando siamo vivi

Se sappiamo già come e dove finisce il totale

Di questo dai e togli

Siamo davanti a un miracolo andato

Siamo davanti a parole da cui dovremo difenderci, prima o poi

O siamo davanti a sfilze di lettere come queste

Lì, nell’eternità dei colpi di cuore dati bene

Proprio a perdere

Già dopo una nessuna fine.

Le cose migliori affogano nel cuore

E nessuno se ne accorge. Che c’era una cosa da dire anche se non si sapeva come fare. Che c’era un abbraccio per dimezzare la stanchezza. Che ci sono stati dei mesi come prigioni senza sbarre messe in sicurezza sotto la gola, verso la cassa toracica. Nessuno si accorge di quel vento per niente su tuoi capelli che sfiori solo tu, e di quelle uscite il sabato sera zeppe di persone di cui fai fatica a ricordare il nome, di quei biglietti che tieni in mano staccati per uno spettacolo che non arriva. Nessuno sa che potrebbe tutto capovolgersi e diventare migliore, abbastanza migliore da affogare nel cuore e lì restare. Affogato e vivo. Vivo e imprendibile. Imprendibile e magico.

Si alza la sbarra dell’ennesimo casello, tu a qualche centinaio di chilometri fai una doccia per poi uscire con gli amici. Io invece riparto su un altro asfalto, con tutto il tempo per pensare alle cose migliori da seppellire e tenere. Odore di gomme bollenti e gasolio. Non dirmi che sai come ci si sente. A dover tornare, così. Alla tua età puoi saltare tra le corsie, alla mia età devi sceglierne una e stare bene al centro. Ti stanchi di cambiare, mi stanco di non cambiare. Ma poi le file, i semafori e qualunque viaggio intergalattico finiscono nel posto in cui torni. Torni per farti una doccia e uscire di nuovo oppure per raddrizzare le foto incorniciate nel soggiorno, reggere sorrisi stanchi e prenderti l’olio caldo che schizza dal soffritto di una padella. Potrei dire una parola in più, potresti allungare lo spacco, potremmo giurare oppure ignorare ma torneremmo sempre da soli, diversi. Con un po’ di cose in scatola, come una di quelle che sposti in magazzino ma più fragile e indistruttibile, di cose migliori da dire e da fare e da pensare messe all’angolo in cuore.

Smetti di torturarti il bracciale, alza gli occhiali e reggi un attimo lo sguardo, non hai ancora perso niente. È tutto là dentro, forse. Se vuoi. Non fingere di scappare se non hai deciso dove tornare. Là dove docce e caselli non esistono né piazze antichissime soleggiate e rassicuranti locali notturni. Non scappare da un sorriso stropicciato che non si è stirato per bene. È tutto là dentro forse, per ora.

Non importa. Si può andare senza scappare, ci si può sfiorare col vento senza bisogno di colla. Mentre nessuno si accorge. Che c’era disordine in quel silenzio e una lacrima pronta a far cedere il muro di quel silenzio e far tornare l’ordine. Non importa. Si può essere grandi di cuore anche da piccoli di opportunità. Non importa.

Anche se capisci quali sono le cose migliori solo quando son scese abbastanza a fondo, dentro, da non poter essere recuperate. E sai che oltre a quelle puoi avere ancora tutto, non tutto ma il tuo tutto, che è sempre molto più che abbastanza.

Ti distrai un attimo e diventi felice. Vale anche il contrario. Questo è quanto vale un attimo.

Sorriso lento e cuore veloce

Una valanga di sveglie che trillano al momento giusto, un circolo di vita allungato dall’aperitivo, e poi la tribù Facebook composta per metà da modelle e per l’altra metà da guru di qualcosa a cui appartiene la bella vita che non esiste; stop, strisce, da quelle sull’asfalto a quelle lasciate dai 737 low cost che grattano il cielo. Ovunque qualcuno ci prega di attendere il nostro turno nel rispetto della privacy. Noi fuori, noi dentro, noi sopra. A vivere.

L’odore di caffè dei bar dei paesetti, dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa è uguale a quello del Caffè Greco di Roma. È banalmente uno degli obiettivi della giornata. Non c’è bisogno ma stressa la terza del cambio quando ancora il sole è un’idea. Pensa che ieri scivolava su labbra, come su un live dei Queen, quasi senza accorgerti del tempo mentre lui stressava la terza di reggiseno. Pensa che la vita non rende quel che deve ma almeno avete lasciato il segno sul lenzuolo, sul bacino, un documentario in una videocassetta mentale andato in onda tra te e lei, tra te e le sei, una segreteria telefonica sempre accesa.

Lei aspetta il ritardo del treno, pazientemente quello del ciclo, i suoi progetti seri, che smetta di bere quando c’è da dire cose importanti, un messaggio in pausa pranzo, lei aspetta che qualcuno le metta un po’ del suo tempo in mano e una risposta così sincera che possono aver senso anche le soap di Canale 5. Quella sincerità che ti prendi a pugni sul petto cercando il cuore, cerchi gli antidolorifici e smetti di giocare col niente, che di tutte le dimensioni e le onde gravitazionali scegli la sua.

Lui beve ancora il whiskey con i bicchieri disegnati della Nutella, raramente guarda la dignità in faccia perché ha paura che poi lei lo guardi in faccia, vuole vivere ma è un perito dai tempi dell’agrario. Quante cose stupide da dire ha riciclato, per fare colpo sulle donne più ingenue si è messo in fila. Quelle ingenti l’hanno schivato con lo sguardo immaginando tutto quello che non avrebbe potuto fare per loro. Il nodo della cravatta si stringe, toglie un capello sulla giacca.

Questa è la miseria della nostra generazione: dover essere, al limite apparire. In ogni caso per farlo fregare qualcuno. Per stare meglio, per tornare nella fila e non morire di esilio. Fare cose sul cellulare che non puoi nella vita reale senza provare. Lei le chiede una postilla più lunga, un pezzo d’aria rubata a Brescia messa nei tuoi polmoni e riversata sul ballatoio delle sue labbra, lei vorrebbe che smetteste di vedervi di nascosto a voi stessi, prendere piccole decisioni ma insieme. Smettere di aver paura di cadere con la certezza di farlo ancora e sempre. Vedere qualcuno ascoltare il pianto del tuo cuore, conta questo, al netto. Non lo sconto del canone Rai.

Sai che c’è, pensa lei, adesso lo chiamo e gli dico che questo è un punto di non ritorno, ed è previsto che rimanga o il punto oppure il ritorno. Ma poi, il pensiero è più veloce di una chiamata qualsiasi. Non ha mai incontrato un uomo da riporto, e sa com’è: quando senti che c’è un punto di non ritorno l’hai già superato.Formalmente siamo in democrazia pure lì a casa non c’è un Re, è saltato anche quello della chitarra, sogna di svegliarsi in fretta, tornare giovane per mettere tutto l’impossibile nel plausibile. La verità in un colpo e non schiaffeggiata, le gonne corte da subito, i cellulari che si possono spegnere senza perdere amicizie.

Sai che c’è, pensa lui, adesso la ammazzo un attimo prima di dirle che volevo farla vivere davvero. Poi si sente un verme per averlo pensato, ma è solo un pensiero, diventa qualcosa solo quando esce. Un pensiero col doppio fondo, una metafora in un banale giro di Re. Come sempre. Come alla fine, quando è troppo tardi e diventa tutto chiaro. Odia tutti gli specchi ma solo per qualche minuto, stringe la cravatta e si prepara a un altro sorriso lento e cuore veloce.